Di fili (invisibili), persone e racconti sono fatte le comunità di Slow Food

slow food e la comunicaizone social

A volte ho la sensazione che i giorni si ammassino uno sull’altro, come fossero carte di un mazzo irregolare.

Corrono e si rincorrono e nel mezzo ci sono io, sempre un filo trafelata, che cerco di coglierne il senso e la direzione.

Più forte di me, ho la mente narrante, per dirla con Gotschall e si, ho bisogno di ricondurre la fluidità dei giorni a un insieme più o meno coerente di storie.

Le storie le fanno le persone.

Le persone fanno le reti.

Le reti fanno i territori.

Con questi spiccioli di pensieri in tasca, sono andata al primo incontro di formazione e comunicazione 2.0 organizzato da Slow Food Toscana a Firenze.

Un’occasione, principalmente, per guardarsi negli occhi e cercare di cogliere esigenze e aspettative, dubbi e timori.

Perché di timori questo tipo di comunicazione veloce in digitale, ne solleva parecchi ed è lì che cerco di intervenire.

Insomma, il primo #comunicazionelab di Slow Food, mi ha confermato l’idea che per fare partire i progetti e per accendere le idee, ci si debba vedere, annusare, percepire.

Restiamo animali territoriali, soffriamo confinati dietro a un avatar, c’è bisogno di respirarsi almeno un po’, nonostante io sia convinta che non ci sia grossa distinzione tra la dimensione online e l’offline e sia sicura che  l’incipiente arrivo dell'”internet delle cose” finirà con il dimostrare in modo ancora più evidente che la rete è una commodity, esattamente come l’acqua e la luce. Internet non sarà neanche più un tema, come non lo sono da tempo il sale, lo zucchero e il caffè: esisterà nei nostri giorni, ne sarà parte integrante, punto.

Ma continueremo ad abbeverarci alle storie, ad aver bisogno di dare un senso al nostro vivere unendo i puntini e a rintracciare nelle persone una mescolanza mai uguale di racconti.

La complessità dell’umano continuerà a  sfuggirci sempre un po’ di mano, tenderà ancora  a esondare e a tracimare nell’imprevedibile (evviva!) per cui niente potrà sostituirsi al piacere di una stretta di mano, di quattro occhi che si incrociano anche solo per il tempo di un sorriso.

Per questo Slow Food Toscana ha inteso organizzare un primo importante incontro di formazione, offrendo a tutti la possibilità di un incontro, di un sorriso, di una domanda posta a viso aperto, senza timore.

Ad attendermi, ho trovato una miriade di racconti e di esperienze che fanno parte dell’elemento umano, che è fatto anche di odori, di impercettibili movimenti di palpebra, di sorrisi che divampano improvvisi semplicemente guardandosi.

Dietro quei volti attenti e motivati, ho intuito un caleidoscopio di storie.

Orti in condotta, vigne, mercati della terra, iniziative in cantina, racconti di come si essicca il pesce stendendolo, come i panni, in casa (senza contare la sorprendente  variante del cacciucco che fanno al Monte Argentario: manco fossimo distanti anni luce, eppure l’Italia è anche questo, un incredibile contenitore di (bio)diversità).

Un universo di saperi e di esperienze che ogni volta mi lascia a bocca aperta e che mi spiego anche con Baumann. Il sociologo polacco  sostiene infatti  che il  fascino delle Comunità aumenta proprio in una società liquida come la nostra, in forma paradossale. La “società fluido-moderna spinge senza sosta verso l’individualizzazione di tutti i legami sociali, mentre la proposta comunitarista spinge a creare una nuova solidarietà tra gli individui della comunità che sappia controbilanciare la crescente insicurezza del mondo fluido moderno“. Da questo punto di vista mi sembra evidente che riuscire a raccontare le comunità, tenendole unite da un insieme coerente e vario di storie, assume un valore simbolico assai forte e per farlo, inutile dirlo, occorre ascoltare.

Si, occorrono ascolto e rispetto per l’impegno e la fatica, per la volontà e l’attenzione che queste persone mettono nel loro fare, affinché non si perda memoria degli antichi saperi e ci siano ancora focolai di attenzione e sensibilità  su grandi temi che riguardano noi tutti e da vicino.

Intuisco che la comunicazione ancora una volta dovrebbe essere capace di mettersi a servizio di queste realtà, abbandonandosi alla sua unica vera essenza: quella di essere un filo che cuce e tiene insieme i pezzi di un racconto, adattandosi al tessuto sociale che incontra.

Se il tessuto è delicato occorrerà un filo sottile, mentre per il tessuto resistente dovremo procurarci un filo robusto.

Anche per questo disegno da alcuni giorni, senza sosta.

Lo faccio perché sto cercando nuovi linguaggi, perché ho capito che le parole non mi bastano, proprio perché la comunicazione a parole non è sufficiente, non coglie l’insieme, non ha la capacità di sintesi che può avere uno sguardo buttato in una stanza dove siedono altre persone e si dipanano storie come se le persone fossero gomitoli narranti. Il fatto è che sono mesi che lo cerco.

Cerco un modo di comunicare che sappia mettersi a servizio delle realtà che racconta, senza mettersi in competizione e diventare esso stesso protagonista della storia.

Rifuggo dagli articoli che ti promettono 6 consigli pratici per diventare Super Eroe o dai bollettini che mi vendono la miglior strategia possibile per diventare Social qualcosa in 5 minuti. Troppo spesso leggo di una comunicazione votata al sensazionalismo e soprattutto al “fai prima se fai come me”.

Io non la voglio la scorciatoia, perché mi godo il percorso e le sue anse. Mi fermo ad ascoltare storie, ad immaginare bambini e nonni che zappano, vignaioli e produttori di latte.

Mi fermo perché la vita è il viaggio e non la meta e ho capito che raccontarlo è un modo per farmi sentire parte del mondo. Un mondo che vorrei lento, buono, pulito e giusto: anche per questo sono contenta di camminare con Slow Food.

Il mio non #bto2014: cronache da un matrimonio

Ho sempre raccontato il mio BTO.

Rocco Rossitto (che ringrazio per la foto), elegantissimo invitato di nozze

Rocco Rossitto (che ringrazio per la foto), elegantissimo invitato di nozze.

Tornavo a casa, quasi sempre prima che finisse, perché a metà del secondo giorno sono sempre stata ubriaca di parole, di input e di riflessioni da riversare sul pc. Come ai matrimoni: quando mangi e bevi e parli e balli e poi, a un certo punto, esci a prendere una boccata d’aria, che tutte quelle cose non ci stanno dentro.

La prima edizione cui ho partecipato è stata quella del 2010: all’epoca ero una albergatrice stropicciata, sul punto di cambiare rotta e di affrontare i venti del mio cambiamento interiore. Il Web o meglio i Social avevano radicalmente migliorato, semplificato, ravvivato la mia comunicazione aziendale, non senza gli inciampi tipici di chi inizi a muoversi in questo mondo a istinto, senza una specifica formazione alle spalle ma con un importante carico di contenuti da trasmettere e condividere. Così ho aperto prima un profilo fake su Facebook, capendo in seguito che non si poteva fare, e cercato di giorno in giorno di rendere più consapevoli i miei Social passi.

A guidarmi, oltre al sincero desiderio di crescere, capire e migliorarmi, c’è stata la rete di contatti che nel tempo nasceva, cresceva, si consolidava in un sorprendente e magnifico alternarsi e mescolarsi di contatti online e offline. Primo tra tutti il fortuito incontro con Alessandra Farabegoli che passò a trovarmi un giorno in albergo e che da allora non ho più perso di vista.

Dispensatrice e di buon senso e buonumore, Alessandra mi ha guidata nel tempo in un processo di crescita e di acquisizione di consapevolezza, prendendosi cura della mia comunicazione, aiutandomi a riscrivere di sana pianta un sito web datato, trasformandolo in un efficace  blog dal quale trovavo piacere a raccontarmi (grazie al supporto tecnico del buon Roberto Pasini aka Kalamun che pazientemente è riuscito a dare forma e struttura alla sostanza dei miei sogni personalizzando il WordPress su cui lavoravo).

BTO delle Isole (edizione ridotta ma con carattere, della più famosa kermesse fiorentina) fu per me l’occasione di stringere mani e incrociare sguardi vivi da vicino e di entrare in punta di piedi a far parte di quella che di fatto è diventata una famiglia in rete o una rete di famiglia che dir si voglia. Fu la volta di Paolo Iabichino (invertising io però l’ho fatto con tutta la mia vita, eh?!) così come  del prof. Baggio (io il suo intervento di qualche anno fa che citava Matrix e la pillola blu/rossa, ce l’ho ancora stampato in testa ma questo lui non lo sa).

Gianluca Diegoli, altro incontro mirabile e indimenticabile, è stato mio ospite in albergo e da quei due mini giorni insieme è nata la consapevolezza che si, ci si può iniziare a intendere anche online perché poi, quando ci si incontra offline, non c’è proprio nulla da capire: la sintonia è già nata, prendiamone atto e beviamoci un bel bicchiere di vino insieme.

Miriam Bertoli poi fu una sorpresa assoluta per me: un giorno capii che mi aveva citata nel suo libro Web Marketing per le PMI (all’epoca per me il mondo del Web Marketing era un semi sconosciuto: dirigevo un piccolo albergo, che lavorava in una nicchia di mercato per lo più alimentata dal passaparola e tutto il resto era una eco lontana di discorsi fatti da “gente brava” mentre io zappavo in giardino) la notizia mi sorprese molto e mi fece felice: al BTO successivo l’avrei incontrata e, diciamocelo, io il suo cappotto giallo lo riconoscerei tra mille.

Nel tempo sono entrata a a far parte della famiglia Buy Tourism Online, godendo sempre della straordinaria accoglienza di Giancarlo Carniani (al Mulino è impensabile non sentirsi a casa per me)  e di quella di Roberta Milano (che la prima volta che le strinsi la mano dopo averne letto a lungo, non mi capacitavo, giuro).

Robert Piattelli invece è stato proprio l’antesignano, l’apripista di questo percorso, perché venne per una giornata di formazione all’Elba, forse nel 2009, e per me fu folgorazione. Le intuizioni bislacche che avevo avuto usando i social e i benefici che in forma evidente mi stavano dando, non erano frutto della mia mente colorata ma si inserivano in una letteratura ben precisa e lui, con l’aiuto di Costanza Giovannini, venne a raccontarcelo sull’isola. Credo che non lo sappia (e quindi non diteglielo) ma è grazie a quella visita di Robert che decisi di iniziare a prendermi un pochino più seriamente in tutto, mal di pancia compresi: il resto è storia e le scelte che di lì a poco avrei fatto la raccontano meglio delle mie parole.

Con l’andare degli anni, BTO è diventata l’occasione di trovare o ritrovare persone, di dare un volto agli account che più mi hanno emozionata (@svoltarock @filippopetti vi dicono niente? per me sono compagni di viaggio presenti nella distanza e affini nonostante ci leghino di fatto due cene e forse quattro chiacchiere in Main Hall) o per ascoltare gli incantatori della comunicazione come  Mafe, Filippo Petrolani  e Gigi Tagliapietra  (ho ancora la sua musica che fa girare il mondo nelle orecchie).

Last but not least ci sarebbero pure un certo Paolo Ratto che lo scorso anno mi ha portato a fare un giro nel Dark Social insegnandomi che anche i numeri hanno un cuore e quel Rocco lì che quando scrive (che c’ha il dono nei polpastrelli, sia chiaro) per me è subito profumo di pasta di mandorle e polpette di mia nonna Carmela.

Si, certo che penso a Laura e a Sergio Cagol: qualche scambio, un paio di tweet (e poi un Muse che ho visitato grazie ai loro racconti, diciamolo: quanto basta per “sapersi”) e una Annamaria Anelli a caso, che porca paletta manco stavolta ho visto.

In questo elenco che mi rendo conto essere infinito di nomi, volti, ricordi e incontri, ci sta tutta la consapevolezza, che ogni fine novembre rinverdisco alla Fortezza da Basso, che la rete, come la vita offline, si nutre non tanto di frequenza, quanto di presenza. Non ho contatti quasi con nessuna delle persone che ho citato. Vite frenetiche e stivate, sull’orlo di una crisi di post, ci tengono al largo dal quotidiano sentirsi.

Mi è impossibile con loro come con la stragrande maggioranza di affetti e persone che per me contano e con le quali ho relazioni offline. Prendiamone atto, è una realtà da conoscere: manca il tempo materiale per condividere esperienze e racconti ma proprio la rete, questo spazio liquido di condivisione, permette in realtà di sentirsi e di sapersi, di vedere che Rocco muore di freddo a Milano (o a Bergamo, non mi ricordo più), che Alessandra è diventata una rossa tutto pepe e che Anna è in partenza per Parigi con Gianluca.

Non è bellissimo? Non avrei tempo altrimenti di sapere e di saperli, di partecipare anche se in forma silenziosa e un passo indietro, alla vita di tutte queste persone che in un modo o nell’altro sono entrate nella mia e lì stanno, a dispetto delle distanze e degli inciampi. Vogliamo davvero chiamarlo virtuale? Io ogni mattina apro le finestre sulle loro piazze, butto un occhio:  il tempo di un caffè, a volte di due chiacchiere e me ne torno spedita nella mia vita ma arricchita dalla loro.

Non ci crederai ma mi sento comunque piena, come dopo un banchetto nunziale: si, quello lì che ogni anno a cavallo tra Novembre e Dicembre ha luogo alla Fortezza da Basso. Piena di storie e di visi, di notizie e di racconti perché io a BTO c’ero nel senso più bello potessi sperare, ovvero nei racconti di Miriam e di Alessandra e di quei tanti che, confesso, con un po’ di sorpresa da parte mia, si son fatti vivi con un tweet o con un post con  dentro un sorriso.

Viva gli Sposi!