Storie slow di cibo consapevole

il cibo e slowfood raccontano amore

Se ti cade un coltello, significa che un uomo sta per farti visita. Se ti cade una forchetta significa che sta arrivando una donna Detto popolare

Oggi leggevo una analisi di Riccardo Rociola nella quale si dice che il food  è ancora l’ultimo anello di una catena che parte da settori più facilmente pensabili al digitale (moda, gaming, editoria per fare un esempio).

Questo ritardo culturale racconta una difficoltà ad avvicinare il mondo del cibo (da sempre espressione di una cultura locale se non addirittura casalinga) all’acquisto online e al digitale in genere.

L’articolo parla  di start-up, di marketplaces  di vendita diretta che mettono in contatto consumatore e fornitore accorciando la filiera di produzione e ho la sensazione che il ritardo culturale di cui scrive, si annidi  nel profondo, perché da sempre la cucina ha abitato gli ambienti intimi e privati della casa e si è alimentata del passaparola e del contatto diretto con il produttore/rivenditore/ristoratore.

La memoria di questo rapporto intimo e personale con gli “affari di cibo”, rende le persone mediamente  più diffidenti nei confronti del digitale che viene spesso vissuto come un intruso, un inutile di più. Il punto è che questo contatto diretto con il mondo del cibo, oggi  si fa più labile perché la struttura sociale è profondamente cambiata e questo cambiamento ha eroso le basi stesse del sistema.

Pensiamo alle casalinghe: sono per lo più scomparsi gli angeli del focolare che si dedicavano anima e corpo all’accudimento della famiglia e alla gestione dell’economia domestica da tutti i punti di vista.

Oggi le donne lavorano e non dedicano più quella cura e quell’attenzione che un tempo si riconosceva al cibo, mentre rimane vivo (e crescente) l’interesse per una alimentazione sana e consapevole. Fare la spesa oggi non è più un andare a trovare il lattaio sotto casa, il panettiere all’angolo o il verduraio del Mercato: le distanze fisiche si sono enormemente ampliate nei nostri centri  urbani ed è diventato pressoché impossibile conoscersi e “sapersi” come un tempo.

In uno scenario così profondamente cambiato, ecco che si fa largo una nuova necessità: quella di mettere in contatto realtà che un tempo si conoscevano personalmente  e che oggi rischiano di scomparire nel mare magno dei Super Store che inneggiano a una globalizzazione dei consumi alimentari che spesso oltre che essere dannosa per la nostra salute, lo è anche per quel senso di identità culturale di cui il cibo si fa ambasciatore.

Si, perché il cibo è cultura, è tradizione, è un groviglio di storie e leggende (io ancora non ho capito ad esempio se aggiungere un tappo di sughero all’acqua bollente renda il polpo più tenero ma lo faccio perché mi affascina l’idea che leggenda e realtà si mescolino spesso in dosi uguali per la buona riuscita di un piatto).

Dare voce a queste storie, riuscire a raccontare le produzioni locali, i presidi, le comunità del cibo che si impegnano non senza sacrificio a portare avanti le tradizioni dei nostri territori, diventa quindi anche un’esigenza culturale che non risponde alle logiche di mercato ma a quelle del nostro vivere consapevole.

Anche per questo motivo Slow Food Toscana sta cercando di promuovere la cultura digitale tra le sue condotte e proporrà una serie di appuntamenti rivolti ai responsabili comunicazione di ogni singola realtà territoriale. Si, perché lavorare bene non basta e rischia di essere frustrante se non viene adeguatamente raccontato.

Parafrasando quelli ben più bravi di me, la comunicazione serve a fare arrivare le persone in casa, la qualità dei tuoi servizi a fare sì che queste abbiano voglia di tornare a farti visita e di portare amici.

Con questo spirito ho accettato e con piacere l’impegno di aiutare la comunità toscane del buono, pulito e giusto a fare un percorso di consapevolezza attorno ai temi del digitale, anche perché parlando con molte persone attive sul territorio ho avuto modo di intuire la varietà e la ricchezza di storie che lo abitano.

Storie di giovani produttori, di allevatori, di famiglie che portano avanti con grande impegno mestieri che in alcuni casi sono a rischio di estinzione e che per me sono degli autentici paladini, spesso inconsapevoli, delle nostre radici storiche e culturali. La strada è lunga e come sempre credo che saranno molti i miti da sfatare.

Conosco l’aura di diffidenza che spesso accompagna  i Social e capisco le remore e le difficoltà di chi, impegnato per molte ore nel lavoro sul campo, ritenga che dedicare altro tempo a raccontarsi sia una inutile perdita di risorse di per sé scarseggianti. Il mio obiettivo? Far intuire loro che il tempo che dedichiamo a raccontare  le nostre storie è il tempo che investiamo ad amare  le nostre tradizioni e a rispettare l’impegno che quotidianamente mettiamo nel nostro lavoro.

A poco serve fare, se nessuno sa che lo stiamo facendo.

Ci vediamo il 21 Marzo alle 9.00 di mattina a Firenze 🙂

Lascia un commento